Dobbiamo ringraziare la presenza di qualche appassionato che continua a coltivare questo antico melone per uso familiare.
Una produzione industriale non è concepibile a causa della loro scarsa conservabilità.
Il ramparèn era così chiamato perché in passato veniva coltivato facendolo arrampicare sui “casotti” disseminati nelle campagne. Alle piante servivano l’appoggio, mentre i contadini gradivano il riparo dal sole. Con la scomparsa di questa coltivazione va a scomparire anche un’immagine tipica della pianura padana.
Il nome e la sua coltivazione si fanno risalire al 1800. Il ramparèn piccolo ( o rampeghin) è affine al “ramparino” che è stato recuperato nel reggiano dall’ Istituto d’istruzione superiore “Antonio Zanelli” di Reggio Emilia, ma si distingue da quello lombardo per avere dimensioni un po’ più grandi, la buccia reticolata, e la polpa color avorio sfumata arancione nella parte centrale ma verde verso la buccia.
Il ramparèn piccolo lo possiamo trovare nell’area casalasco-viadanese, ma anche nel cremonese.
È di piccole dimensioni (meno di un chilo), di forma tondeggiante e schiacciata ai poli.
L’epidermide e la polpa sono entrambe di color giallo-arancio.
Questa cucurbitacea dolce, dal gusto delicato ma molto gradevole si raccoglie da giugno.
Questo melone trova ottimo abbinamento con i salumi locali, in particolare pancetta alla griglia e prosciutto cotto.
Viene consumato anche come frutta fresca a fine pasto o come merenda.
Da provare come ingrediente principe del gelato